martedì 29 settembre 2009

La sconfitta di Teutoburgo

In questi giorni del mese di settembre cade una delle date più note della storia romana, che anche se al di fuori del periodo a cui noi di solito ci interessiamo, credo meriti la nostra attenzione.
si tratta della famosissima sconfitta della battaglia di Teutoburgo, avvenuta esattamente duemila anni fa e punto di partenza, secondo molti storici, della fine dell'Impero Romano, come si era conosciuto fino a quel momento.
Siamo nel 9 d.C. quando Publio Quintilio Varo si trova, con tre legioni, nel suo accampamento estivo nel mezzo delle terre ad est del Reno, territorio appena esplorato, in pieno possedimento Cherusco.
Era pratica comune lo spostare legioni durante il periodo estivo per mostrare la forza di Roma alle popolazioni assoggettate, specie quando le popolazioni non erano ancora completamente domate come i Cheruschi. In questo il suo predecessore, Saturnino, era stato più cauto considerando poco adatta la tattica del pugno contro pugno con popolazioni agguerrite e gelose della propria libertà, ma Varo era di un'altra pasta e preferiva agire con spietatezza e ferocia, come aveva già mostrato in Siria, dove, per piegare gli spiriti ribelli aveva fatto crocefiggere 2000 ribelli. Inoltre lui contava sulla vicinanza dei nobili cui aveva promesso cariche di prestigio e ricchezze, e del principe Cherusco, Segeste, padre di Armiliano che per i suoi meriti aveva meritato la cittadinanza romana.
Oramai l'inverno è alle porte e Varo si trova a dover prendere una decisione. Dovrebbe tornare all'accampamento invernale dove lo attendono altre due legioni, ma viene avvicinato da Armiliano, figlio del principe Cherusco e tribuno alla testa di un contingente di cavalieri germanici ausiliari al servizio di Roma. Questi gli dice che nelle terre del nord sarebbe scoppiata una rivolta che richiede l'intervento delle sue truppe, e Varo, prima tentenna poi accetta di mettersi in marcia seguendo il nuovo percorso preceduto proprio da Arminio e dal suo contingente.
Alla testa di tre legioni, la XVII, la XVIII, XIX, tre Alae, sei coorti per complessivi 15/20000 soldati e circa 4/50000 unità tra cavalli ed altri animali da traino, Varo si incammina verso nord, attraverso boschi fitti e scuri, sotto un tempo inclemente e nemico della truppa. L'enorme corteo procede a stento nel terreno paludoso.
E' il 21 di settembre quando scatta l'imboscata di Arminio e delle popolazioni germaniche, che piombano sui soldati romani da ogni parte, protetti dal folto della foresta.
La struttura del terreno, le difficoltà ambientali e la formazione del corteo impediscono ai legionari di serrare i ranghi per difendersi: è una strage, con i romani alla mercé dei loro carnefici. Eppure si continua a combattere per quattro giorni, sia contro guerrieri Cheuschi che contro cavalieri ausiliari di Roma passati al nemico.
Cassio Dione ci racconta che Varo riuscì nei primi due giorni ad erigere un campo fortificato, ma fu tutto inutile, ed il quarto giorno le legioni e le truppe ancora fedeli a Roma erano quasi completamente annientate, le aquile simbolo delle legioni sottratte.
Varo si suicida con i suoi ufficiali, mentre Arminio irride il potere di Roma dall'alto del tumulo che sarebbe poi passato alla storia come la Selva di Teutoburgo. La testa di Varo venne spiccata dal collo e mandata in segno di vittoria a Maroboduo, principe dei Marcomanni e rivale di Arminio, mentre, racconta Svetonio, Augusto pare cadesse in una profonda frustrazione pronunciando la frase, "Quintili Vare, legiones, redde!"
Oggi ancora si indaga sui reperti di questa grande battaglia che a detta di molti segnò l'inizio del lento declino dell'Impero, e comunque fissò il confine del territorio germanico sulla linea del Reno , ma ancora oggi della sorte di tanti legionari si ha una visione più frammentata e romanzata di quello che sarebbe giusto. Speriamo che in futuro sempre nuove notizie emergano dal cumulo di reperti che piano piano vengono trovati ad Oberesch, presso l'altura di Kalkriese, nella Germania settentrionale, divenuta il sito preferito delle indagini sulla leggendaria battaglia.

martedì 15 settembre 2009

Le divinità minori protettrici dell'infanzia

Nella vita dei romani tantissime erano le divinità che ogni giorno si accalcavano attorno al loro agire, ognuna con un compito specifico e con suoi sacrifici per renderselo amico. Vi erano, è vero le divinità maggiori, che tutti potevano ossequiare nei templi stupendi che riempivano Roma, ma ve ne era una vera folla che non aveva tanta importanza da avere un tempio tutto suo e che però era presente nella vita di ogni giorno.

Ve ne erano anche di assolutamente riservati ai bambini ed alla loro vita:

NIMERIA veniva invocato dalle gestanti prima del parto, perché dea della matematica che aiutava nel conto dei mesi restanti al parto.

Sin dal momento del parto si invocava il nome di PARTULA, divinità la cui origine pare identificabile con quella della Parca Cloto, la dea UTERINA era assistente alla puerpera nel momento delle doglie, mentre si invocava la dea LUCINA per la nascita definitiva, cioè il momento in cui il bimbo “veniva alla luce”. Quest’ultima era conosciuta anche come CANDELIFERA e le si accendeva una candela votiva per ingraziarsela.

Appena nato interveniva il dio VAGITANO, colui che si occupava di far si che il bebè lanciasse il suo primo vagito, così da permettere l’espansione dei polmoni e la respirazione, mentre ALMA era colei che portava la vita. A questo punto subentrava la dea NUNDINA che si occupava della purificazione dei nuovi nati, mentre LEVANA era la fianco dei padri nel momento in cui riconoscevano il nuovo nato come appartenente alla famiglia.

Perché fosse sano nella culla si chiedeva l’assistenza della del CUNINA o CUBA, dea della tenerezza, protettrice dei lattanti, che veniva supplicata a lungo quando il pargolo era insonne e non faceva dormire, inoltre si occupava di tenere gli incubi lontani dal suo sonno, mentre la dea EDULICA o EDUCA era invocata perché alla madre non mancasse il latte; OSSILAO, si doveva occupare che le sue ossa crescessero sane e robuste.

RUMINA insegnava al pargolo a succhiare il latte, ma se il bimbo risultava inappetente si invocava l’aiuto di EDUSA, mentre per farlo bere si chiedeva aiuto a POTINA la quale badava che il bimbo non si strozzasse bevendo; erano sempre loro due che si occupavano di accompagnare il bimbo nello svezzamento.

FABULINUS era vicino alla sua bocca mentre iniziava a fare i primi versi intellegibili, dalla lallazione - ossia dal balbettio di sillabe ripetute dal neonato senza però formulare parole complete e sensate – al linguaggio parlato vero e proprio guidandolo nell’apprendimento della parola, mentre STATULINO gli era accanto nel muovere i primi passi perché non corresse pericoli mentre passava dal gattonare a camminare autonomo.

Quando il bimbo cominciava ad affrontare la vita PAVENZIA si occupava di proteggerlo dagli spaventi improvvisi, CARDA ne assisteva lo sviluppo fisico, STIMULA e SENTIA ne affinavano i sensi ed i ragionamenti, curandone l’intelligenza ed il raziocinio, la prima consapevolezza ed insegnandogli l’indipendenza.

Il passaggio vero e proprio dall’infanzia all’adolescenza avveniva sotto l’egida della dea IUVENTAS, assistita dai maschi, al primo apparire dei peli sul volto dal dio BARBATUS; mentre nelle femmine,al primo menarca, compariva anche la dea DRIA, signora della pudicizia, preceduta però da un sacrificio alla dea LIBERTINA, cui si immolavano i propri giocattoli con cui non si sarebbe più giocato in seguito.

A questo punto i pargoli erano oramai abbastanza grandi da passare sotto l’egida di altre divinità per la sfera adulta della loro vita, ma prima i genitori, nel momento in cui uscivano di casa, invocavano la protezione delle dee, ABEONA che ne proteggesse l’allontanamento, ed ADEONA, che li riconducesse a casa sani e salvi.

venerdì 11 settembre 2009

MERCURIO O ERMES?

purtroppo per quanto riguarda Mercurio, divinità a me molto cara ,si trova soprattutto la storia della sua controparte greca, Ermes, o Ermete, come si vuol dire, che però non è romanizzata e quindi rivolta a questa personificazione della divinità. quanto si sà è all'incirca questo:
Mercurio viene considerato il messaggero degli dei, figlio del dio Giove e di Maia, figlia del titano Atlante.
Per i Romani Mercurio era specialmente il dio del commercio e il suo nome si faceva derivare da merx (merce) e da mercari (commerciare). Per onorare questo dio a Roma fu fondato il collegio dei commercianti, i cui componenti si chiamavano mercuriales.
A Roma, un tempio a lui dedicato, venne eretto nel Circo Massimo sul colle Aventino, nel 495 a.C.
Il fatto che lo stesso dio protegga ladri, medici e commercianti indica ironicamente la loro considerazione presso il mondo classico.Solo in epoca imperiale, come attesta l'opera di Virgilio, mutuò dal suo corrispondente greco le funzioni di messaggero degli dei e di guida delle anime defunte.
su di lui ci giungono queste parole di un autore sconosciuto:
"Il Dio con altri dei e dee viveva sull'olimpo e con il suono della lira dilettava i loro convivi, ma ogni tanto svolgeva il compito di messaggero. Infatti dava gli ordine degli dei agli uomini e alle donne, applicava calzari alle sue scarpe e ale e appariva agli uomini. Una volta il dio Mercurio apparve al pio Enea e ammonì Enea, come il poeta Virgilio narra nella sua famosa opera: fonda una nuova Ilio sulle coste d'italia! Lascia la regina e il suo regno e obbedisci al fato!
Così Mercurio ottiene l'obbedienza: il pio Enea infatti lascia le coste dell'africa, con i suoi compagni e con il figlio Ascanio tocca la costa di italia e fonda una nuova città. Tuttavia Mercurio non solo è il messaggero degli dei. Gli abitanti di tutta l'arcadia dedicano a Mercurio, dio del commercio, dei sogni, del (doli) e dei pascoli templi. Gli abitanti di tutta la grecia anche costruiscono le Erme e statue di Mercurio, soprattutto ad Atene. Ma anche i galli, dice Cesare, onorano il dio Mercurio con altri dei e dee. I Galli sono dediti al commercio e chiedono il suo aiuto. Nessun dio prepara un (dolum) necessario al denaro e percorrono vie, senza alcun pericolo. Infatti Mercurio è anche il patrono delle vie."
una delle leggende legate a questo scaltro Dio è quella che lo vede agire contro Argo:Per nascondere a Giunone la vera indentità di Io, Giove tramutò la fanciulla in giovenca, ma la dea, gelosa della rivale, volle comunque ottenere l'animale in dono. Giove, per fugare ogni sospetto di tradimento, acconsentì alla richiesta, e Giunone pose la fanciulla sotto la sorveglianza di Argo. Il pastore aveva cento occhi, sparsi per tutta la testa, e grazie a questi riusciva a non dormire mai, poichè per riposare ne chiudeva solo due per volta, mentre gli altri rimanevano aperti. Dispiaciuto per la triste sorte che aveva causato alla fanciulla, Giove incaricò suo figlio Mercurio di liberarla. Per riuscire ad avvicinarsi ad Argo, il dio si camuffò da pastore: dopo essersi tolto l'elmo e le ali, e aver tenuto con sè solo la verga e la siringa, s'incamminò verso il custode suonando una melodia. Argo, affascinato dal suono, invitò il dio a sedersi con sé e Mercurio prese a suonare a lungo, raccontando al pastore la storia di Pan e Siringa, fino a che non riuscì a far chiudere per il sonno tutti i cento occhi. Allora il dio prese la spada e gli tagliò la testa, riuscendo così a liberare Io. Giunone, dispiaciuta per la triste sorte capitata al pastore, prese gli occhi dalla testa e li pose sulle piume del pavone, suo animale sacro.

Mercurio non divenne mai un dio importante per lo stato romano, tanto da non avere un flamine ma la sua popolarità era notevole e continuò a crescere con la crescita del commercio e della potenza di Roma.

La sua festa veniva celebrata il 15 maggio gli veniva offerto incenso, ed era usanza dei mercanti aspergere se stessi e le proprie merci con l’acqua che scaturiva da una fonte fuori porta Capena (aqua Mercurii).
Veniva rappresentato praticamente nudo, o ricoperto dalla clamide, recante nella mano destra una borsa di denari (crumena) e nella sinistra il caduceo nonché le ali ai piedi.

per completezza del racconto diamo anche visione alla sua controparte greca.

Ermete (in latino Mercurius, Mercurio), o Ermes, risulta essere figlio di Zeus e di Maia, una delle tante rappresentazioni della Madre Terra, e pare sia nato sul monte Cileno in Arcadia. La sua leggenda viene riportata da Apollodoro e da Aristofane. Veniva descritto come un giovane uomo con un elmo e sandali alati che impugnava un caduceo con due serpenti, a ricordo di quelli che un giorno si erano attaccati al suo bastone mentre cercava di dividerli.
In Ermes è riscontrabile la metafora dell’azione, della prassi, della capacità di concentrazione e attività. È probabile che originariamente si trattasse di una divinità di tipo fallico, di un “briccone divino” che stia a simboleggiare l’accoppiamento e il meccanismo della generazione.

La storia in definitiva è sempre la stessa, con il padre degli dei:Zeus si invaghì di Maia e la rese madre. Maia era figlia di Atlante e quando nacque il figlio lo portò sul monte Cileno e lo ricoprì con fasce e lo depose in un canestro istoriato. La Dea sperava di godersi l’infanzia del figlio, ma lui apparve subito diverso da tutti gli altri infanti: non appena posato nel canestro divenne subito un adolescente. La madre gli aveva appena voltato le spalle e si era assopita, che Ermes, già robusto e vitale, si diede alla fuga, allontanandosi della madre e dalle ninfe che gli facevano la guardia.
Fuggendo arrivò in Pieria. Lì erano custodite delle vacche di proprietà di Apollo, e il dio briccone le rubò e con uno stratagemma coprì la sua fuga. Quando Apollo scopì il furto promise una ricompensa a chiunque fornisse notizie sul furto. Intanto Ermes aveva nascosto le vacche in una grotta, sulle rive del fiume Alfeo, ed era tornato dalla madre, che ancora dormiva. venne scoperto come ladro della mandria di Apollo a causa del suo amore per la musica: Egli vide una tartaruga rovesciata e la prese. Quindi uccise alcune vacche della mandria e ne mise le interiora ad essiccare. Applicò alla corazza della tartaruga alcune corde ricavate della interiora inventando così la cetra. Toccò le corde con una scheggia e lo strumento emise suoni straordinari. Ermes prese a suonare dolcemente incantando la madre e dei satiri che risiedevano nella zona. Non appena questi videro la cetra capirono che era fatta con le interiora delle vacche rubate, perché in quella zona non esistevano mandrie. Pensarono di accusare il dio del furto, ma la ninfa che gli faceva da balia, Cillene, chiese come fosse possibile che un bambino così piccolo e ingenuo potesse commettere un furto così grave. I Satiri si convinsero e se ne andarono. Ma Apollo non si lasciò incantare, prese il bambino e lo portò da Zeus. Quest’ultimo, che amava Ermes per la sua furbizia e tenacia, allontanato Apollo con una scusa, invitò il bambino a dichiararsi innocente anche di fronte alle prove che lo incolpavano. Ma Apollo fu inflessibile e alla fine Ermes fu costretto a confessare, a chiedere perdono e restituire la mandria. Per placare l’ira del dio, Ermes ammise di aver ucciso alcune vacche, ma di averne sacrificato le carni in suo onore, e l’ira di Apollo si placò, inorgoglito per quel sacrificio.
Ermes lo condusse al nascondiglio secreto ed Apollo stupito dalle sue capacità, chiese di barattare la cetra con la mandria intera. Ermes accettò. Apollo stupito e divertito dall’abilità del giovane dio lo fece protettore dei mandriani, garantendogli l’autorità sulla divinazione con le pietre e donandogli il bastone (in greco kerykeion, in latino caduceus) come simbolo del suo potere. Ermete veniva stesso ritratto con un ariete sulle spalle ed era noto anche con il titolo di Nomios (pascolatore).
Ermes, privato del suo strumento musicale, si ingegnò per inventarne un altro; con una canna inventò il flauto, che risultò avere un suono più melodioso della stessa cetra. Apollo volle immediatamente possedere anche questo nuovo strumento e propose uno scambio a Ermes, che accettò lo scambio con un bastone d’oro che serviva per guidare le mandrie e chiese inoltre il segreto della divinazione. Apollo lo inviò dalle Trie, che erano state sue nutrici, per insegnargli a riconoscere gli avvenimenti futuri dall’analisi delle pietre ripetutamente gettate a terra.
Ermes chiese a Zeus di diventare il messaggero degli dei, ed questi lo rese protettore dei commercianti e dei viaggiatori, dei ladri e degli inventori. In regalo Zeus gli diede calzari dorati che gli permettessero di volare a qualunque velocità.
A questo punto Ermes volle riconciliarsi con Era poiché conosceva la sua crudeltà verso i figli di Zeus. Travestito da infante, si sedette sul suo grembo per farsi nutrire; in questo modo Era, consapevole o inconsapevole, divenne sua madre adottiva e si vide costretta a trattarlo con il riguardo dovuto a un figlio.

Le imprese di Ermes hanno tutte un carattere vitalistico. Il suo comportamento è fortemente immorale, disinteressato al problema etico, e porta, sin dalla nascita, lo scompiglio attraverso il furto e la menzogna. Lo riscatta la grande capacità fantastica. L’invenzione artistica rischiarata nella figura di Ermes ha una sua controparte buia. L’artista sembra quasi mischiarsi al peccatore o comunque all’immorale con lo spirito di conoscenza del mondo che è proprio del fanciullo.
La verga d’oro di cui il mito fa menzione, diverrà il simbolo di Ermes e spesso interpretata come simbolo della corrente sessuale. La verga d’oro viene considerata un simbolo della spina dorsale lungo la quale serpeggiano, come intrecciate, le due polarità fondamentali dell’espressione sessuale. Ed è forse alla luce di questa interpretazione che divenne anche il protettore delle puttane, rappresentanti della assoluta libertà sessuale e immoralità.

Per i suoi ottimi rapporti con Ade, Ermes viene considerato protettore della morte, nel suo ruolo di guida delle ombre alla dimora di Ade, e in questo simbolismo può essere confrontato col dio Anubi egiziano.
Ermes ebbe un gran numero di amori: tra le dee amò soprattutto Afrodite che gli generò Ermafrodito e Priapo. Dapprima la dea rifiutò la sua corte ma Zeus ebbe pietà di lui e mandò la sua aquila perché rubasse uno dei sandali d’oro della dea mentre si stava bagnando nel fiume Acheloo. Ermes si offrì di restituirle il sandalo in cambio dei suoi favori, e la dea accettò.
Con una ninfa o con la figlia di Driope, chiamata Penelope, generò Pan.

La figura di Ermes è la più esoterica nel panorama delle divinità greche proprio per il suo rapporto con la musica. La musica è sempre stata considerata di alto valore terapeutico in tutte le culture così dette primitive. Ermes, inventando la musica ed essendo il padrone del caduceo, si mostra come la divinità fondamentale del ritmo biologico e sessuale. L’interesse alla divinazione dimostrato da Ermes sarà una delle ragioni del suo culto esoterico.

FLORA DIVINITA' ROMANA

Flora è conosciuta come Dea della primavera e delle cose in fiore o che attendono di dare frutto, della floricultura, dei giovani, protettrice delle partorienti e delle meretrici.

Era una delle più antiche divinità del pantheon romano, e sovrintendeva alla primavera. Marco Varrone Paci racconta che fu lo stessoTito Tazio, ad introdurrne il culto in città, dedicandole un sacello in Campidoglio.

Il suo nome deriva dal latino Flos, Floris, fiore in italiano, ed era raffigurata come una donna giovane, spesso vestita di abiti estremamente colorati e con una corona di fiori tra i capelli, la sua descrizione è quella di una giovane dal carattere gioioso e ridente, con una spiccata inclinazione per la sensualità ed il piacere. Il suo culto era affidato ad un Flamine Floreale uno dei dodici flamini minori;il suo culto fu sempre molto popolare e le sue festività cadevano tra il 28 di aprile ed il 3 maggio, quando si svolgevano il Ludes Floreales, detti anche Floralia, celebrati con cerimonie sfrenate ed orgiastiche in cui era ammessa ogni lascivia, con profusione di scherzi e bevute. Le più fervide celebranti erano le donne di malaffare, che in questi giorni di libertà vedevano la loro figura imporsi su quella delle matrone che invece celebravano Cerere e che per le loro festività sceglievano il bianco. Per le festività di Flora invece le donne vestivano di vesti multicolori, mentre gli uomini si decoravano il capo con ghirlande di fiori. I primi giorni erano tutti una rappresentazione teatrale, un lungo festeggiare per le strade, un susseguirsi di orge e feste che coinvolgevano tutti. L’ultimo giorno si celebrava il circo al Circo Massimo, dove si dava la caccia agli animali domestici come capre e lepri, e si spargevano semi in segno propiziatorio.

Il carattere licenzioso dei Floralia, con l'esibizione delle prostitute che si denudano a teatro fra gli schiamazzi del pubblico, indicherebbe nella mentalità politeista romana-italica un legame metafisico tra la sessualità umana e la fertilità vegetale, per cui stimolando l'una attraverso il rituale sacro, si stimolerebbe anche l'altra.

Il suo tempio si trovava presso il Circo Massimo, al di fuori della cerchia sacra, ma era una divinità del popolo e questo ne rafforzava la vicinanza con la plebe.

Vi sono varie descrizioni dell’origine della Dea Flora. Ovidio ne fa una identificazione con la greca CLORI, ninfa e sposa di Zefiro
Oggi son detta Flora, ma ero una volta Clori; nella pronuncia latina fu alterata la forma greca del mio nome.
E, Clori, ero una Ninfa delle Isole Fortunate, ove tu sai che felicemente visse gente fortunata.
È difficile alla mia modestia dire quanta fosse la mia bellezza; essa donò a mia madre per genero un Dio.
Si era di primavera, e io me ne andava errando; mi vide Zèfiro, e io mi allontanai; prese a inseguirmi, e io a fuggire.
Ma fu più forte di me.
Borea, come aveva osato prendersi una donna nella casa di Eretteo, aveva dato al fratello ogni diritto di rapina.
Ma Zefiro fece ammenda della violenza dandomi il nome di sposa; non v'è alcun motivo di lamento nel mio letto coniugale.
Io godo di eterna primavera; l'anno è sempre fulgido di luce, gli alberi son ricchi di fronde la terra rivestita di verzura.”

Mentre Lattanzio sostiene che Flora fosse una meretrice che aveva lasciato il proprio patrimonio in dono al popolo di Roma, il quale, riconoscente, avrebbe istituito i Floralia. In quest’ultimo caso c’è una certa confusione con il mito di Acca Larentia.

Flora fu dunque molto importante a Roma: secondo Plutarco sembra perfino che il nome segreto di Roma fosse proprio il nome della dea. L’ipotesi è avvalorata dalla tesi secondo la quale Firenze, città fondata dai romani nel 59 a.C. portasse il nome di Florentia, che significa “città sotto la protezione di Flora” laddove “sotto la protezione di Flora” sta per “sotto la protezione di Roma”.

Di flora comunque si sa anche al di fuori delle genti romane, presso i Sabini ed i Vestini, presso i Sanniti dove viene menzionata nelle tavole di Agnone.