martedì 23 giugno 2009

UNA CARRELLATA SULL'ABBIGLIAMENTO NELLA ROMA ANTICA

Innanzi tutto vorrei assicurarvi che non intendo tediarvi con una specie di lezione noiosa e saccente. Essendo il primo post di questo blog farò giusto una veloce escursione nella moda al tempo di Roma antica, spaziando un po avanti ed indietro nei secoli, giusto per dare un idea degli argomenti.

Prima, però, vorrei parlare di quello che mi ha condotto a queste pagine e cioè della ricostruzione storica: per chi la sente come importante è qualcosa da prendere con la dovuta serietà e con la dovuta attenzione. La ricostruzione è qualcosa che va al di là del copiare da una statua o da un quadro l’immagine che vediamo, vuol dire cercare di dare nuova vita ad un periodo storico particolare studiandone tutto, dai particolari più insignificanti alle grandi evidenze storiche.
Si tratta di uno sforzo filologico e di ricerche che coinvolgono vari campi: non si può scindere la ricerca nell’abito dalla ricerca dei vari tipi di stoffa adottati nell’epoca storica in questione, del tipo di coloranti che venivano impiegati, del tipo di tessitura e di cucito, nello studio dell’applicazione di quel tipo di schiavo a quella particolare opera, dell’economia che porta a un tipo di importazione invece che ad un altro e così via. Sono tutte cose concatenate tra di loro che solo nel loro insieme possono giustificare una reale ricostruzione storica, e per avere un buon risultato si deve cercare di essere quanto più fedeli possibile alla realtà del tempo, altrimenti diventa fatuo tutto il lavoro svolto.

Partiamo dicendo che parlare di moda nell’antica Roma è forse un po’ generico oltre che eccessivo: generico, perché la storia di Roma è lunga ed ogni periodo ha delle sue prerogative specifiche che permisero nuove importazioni e quindi un implemento della moda in se stessa; eccessivo perché la parola moda indica delle variazioni nell’uso dell’abbigliamento che per lungo tempo non ci sono state .
In realtà il taglio del vestito tipico romano, per molto, moltissimo tempo, è stato di una semplicità e di una omogeneità tra maschi e femmine da essere quasi disarmante, se non fosse che vi erano molte altre particolarità che poi ne facevano un capo estremamente simbolico e rappresentativo.

Nel primo periodo della storia romana, fin quasi al 500 avanti Cristo, Roma viveva dei suoi prodotti oltre che delle conquiste circoscritte ai territori confinanti, e la disponibilità di tessuti era limitata. Le stoffe erano in lana di pecora o fibre vegetali locali, filate con una maestria che ancora oggi lascia sorpresi, riuscendo ad ottenere tessuti di una leggerezza sbalorditiva che non erano di impaccio nemmeno in estate.
La stoffa era un bene estremamente ricercato, specie se ben lavorata, e di prezzo anche piuttosto elevato; quindi spesso i vestiti a disposizione erano pochi e cuciti direttamente dalla padrona di casa, la matrona, o dove era presente dalla schiava a questo adibita.
A questo fine i tagli sulla stoffa erano ridotti al minimo per utilizzare al massimo la pezza a disposizione, che era usata quasi interamente nella sua larghezza, per confezionare la serie di vestiti di cui si necessitava.
I capi di abbigliamento del periodo erano :

1. per l’uomo la tunica, di due tipi, la
* la subucula e la exterior; tunica portata a pelle con cui si dormiva anche e che costituiva la biancheria intima
* la toga che prende origine dalla clamide greca affinandone ed evolvendone l’uso simbolico sino ad acquistare il potere di indicare il vero romano.
2. Per la donna e un po più complesso l’elenco, ma vediamo nel particolare di cosa si tratta.
* A pelle, le donne portavano uno strophium (alla greca) o mammillare o ancora fascia pectoralis, una specie di reggiseno, ed il subligar, una specie di perizoma usato da uomini e donne, anche se sembra che fosse indossato più che altro ai bagni.
* la tunica, molto simile a quella maschile ma dotata di scollo circolare o a V e lasciata lunga fin sotto al ginocchio; nei periodi freddi dell’anno le tuniche potevano essere anche due o tre, sempre del tipo subucula, cioè intime o a pelle; potevano avere anche un pezzetto di manica, anche se tale uso della manica sembra piuttosto tardo.
* Sopra si poteva mettere una amictus, una sopravveste che andava a nascondere le vesti intime e che era molto simile alla tunica ma più lunga.
* Nella Roma primitiva le donne portavano la toga come gli uomini, come riporta Varrone in uno dei suoi scritti, ma ben presto i costumi andarono distinguendosi e la toga venne imposta alle donne solo come segno di impudicizia o di facili costumi.
* Sopra questa veniva posta la stola: lunga e larga era una specie di tubo di stoffa senza cuciture nella parte superiore. Veniva fissata alle spalle ed alle braccia con dei cammei e delle spille, che ne aiutavano anche la copiosità di pieghe, che coprivano e decoravano il corpo della donna. La stola era una parte dell’abbigliamento che mostrava il rango di chi la indossava e più era ricca, decorata e fine e più chi la portava era di classe elevata. Al suo orlo era posto un bordo decorato, l’istita, di cui però si sa la presenza ma non lo spessore, dato che alcuni autori ne parlano come di una tenuissima fascicola mentre altri la qualificano come longa.
* Per modellare la stola sul corpo si ricorreva all’uso di un cingulum, una cintura che poteva essere di stoffa, di pelle o di fibre naturali,liscio o decorato con oggetti in metallo o pietre dure, specie nella tarda età romana, e che passando attorno al corpo ed attorno al seno fissava la stola e modellava la figura. L’uso della cintura era assolutamente richiesto, tanto che solo malfattori e prostitute non ne usavano ( ed erano definiti discinti) mentre ne era dispensata la donna gravida (incinta appunto) che però spesso comunque ricorreva ad una striscia di tessuto portato sotto il seno, conosciuto anche come zona.
* Per coprire il tutto infine, nelle uscite, la matrona dell’epoca più remota poteva impiegare il ricinium, un semplice mantello quadrato che portava sulle spalle e forse sul capo. Questo capo venne nel tempo sostituito dalla palla.
* Le pieghe dell’abito erano fondamentali, ma ancora più importanti erano le pieghe della palla, un taglio di stoffa rettangolare che copriva completamente la donna, compreso il capo, e che ne contornava il corpo con varie pieghe e ritorni tenuti su dalle braccia. Era molto importante e ricca, tanto che spesso una schiava era addetta alla cura delle pieghe del tessuto anche mentre la matrona era a passeggio per evitare che si sciupasse l’insieme e divenisse sconveniente.


Come ho detto prima, la stoffa iniziale da cui tutto questo veniva tratto era fatta di lana di pecora o di alcune fibre vegetali, tra cui una specie di lino locale coltivato dagli Etruschi, e veniva lavorata più o meno pesante a seconda del periodo in cui doveva essere indossata.
Con il procedere delle conquiste romane molte furono i tessuti che si andarono ad aggiungere a questi, e che vennero richiesti soprattutto dalle più alte classi sociali. Primo arrivò il lino dall’Egitto, quindi con l’età imperiale arrivarono anche i tessuti di cotone e di seta, entrambi costosissimi perché importati direttamente dall’India e dalla Cina. Nelle regioni più fredde si usavano anche pellicce con cui bordare o confezionare i mantelli, o feltro, sia per scarpe e cappelli che per capi di abbigliamento.
Va sempre ricordato comunque che le stoffe, erano un bene prezioso e che, quindi, a parte il non possedere un gran numero di capi e spesso, nel caso di famiglie meno ricche, il tessere le proprie tele, solo i più ricchi avevano vesti di stoffe raffinate; solo la famiglia dell’Imperatore o dei nobili più abbienti si potevano permettere la seta o la cotonina indiana, mentre le altre famiglie benestanti si dovevano accontentare del lino, che per quanto caro era più a buon mercato.
Le popolane o comunque i ceti medi e medio bassi avevano la lana lavorata finemente, o la canapa, con cui si facevano anche le tuniche per gli schiavi, o ancora la juta.

Passiamo a prendere in considerazione i colori che venivano impiegati nell’abbigliamento.
In età repubblicana, gli unici colori che si possono incontrare sono quelli naturali dei tessuti ed i colori della lana lavata e schiarita con particolari procedimenti che impiegavano l’ammoniaca nel loro interno.
Con il procedere delle conquiste, si ha un arricchimento anche in questo campo, sia per lo studio e l’utilizzo di sostanze presenti sul territorio, come insegnano gli Etruschi (e loro erano considerati i più ferrati nella moda), estremamente ricchi di decorazioni e di accessori, sia per l’importazione di sostanze che coloravano i tessuti.
Il colore principe nella storia romana, e per principe si intende anche la designazione che dava il colore, era il porpora, importato dai Fenici; la sua preparazione richiedeva la lavorazione di un particolare mollusco, il MURICE, ma necessitava di grandi quantità di animali per poter produrre una minima quantità di colore. Proprio per questo il clavus, la banda color porpora che indicava l’appartenenza ad un determinato ordine, era una cosa estremamente costosa da ottenere.
La tintura dei tessuti era praticata soprattutto in Medio Oriente, anche se con caratteristiche diversificate: i veri maestri della tintura furono gli Egizi, che tingevano il lino con i colori ricavati da diverse piante: l'hennè, il cui colore veniva utilizzato anche in cosmesi per tingere i capelli; il cartamo, dal quale si ricavavano il giallo ed il rosso, lo zafferano, che dava vita al giallo in varie gradazioni; mentre l'azzurro veniva estratto da alcune specie di Indigofera, dal lapislazzuli e da alcuni Sali.
I Cinesi tingevano la seta con il cartamo (giallo e rosso), il mirtillo (blue e lilla), il sommaco (giallo) e l'indaco, ma anche con altri colori naturali la cui provenienza rimane a tutt'oggi un affascinante mistero.
Gli antichi popoli italici vennero a conoscenza delle tecniche di tintura mediante i traffici commerciali: così, i Tarantini divennero esperti nella tintura con la porpora e l'oricello, un lichene; gli Etruschi utilizzavano la robbia, il pastello, il guado e lo zafferano.
In Roma, abbandonata la rozza austerità dei padri fondatori della Repubblica, nel II Secolo a.C. la tintoria era talmente evoluta, che si contavano diverse corporazioni a seconda delle sostanze usate per tingere le stoffe: i Crocearii (giallo), i Violarii (viola), le Officinae Purpurinae (porpora).
I colori maggiormente usati a Roma erano l'azzurro ricavato dalla malva, il giallo, ricavato dalla reseda, la curcuma e la ginestra, i bruni ed i neri, derivati dal mallo di noce.
Nel periodo più prossimo, si acquista l’uso di decorare i bordi delle palle con disegni tono su tono, motivi geometrici, animali o corpi umani, ma stilizzati, mentre i più ricchi da sempre avevano la possibilità di usare bordi decorati anche con fili d’oro e argento ma solo i bordi.

Chiudiamo infine con una rapida carrellata sui tipi di calzature usate.
Si deve sempre pensare che la moda dei Romani fin dall’inizio venne fortemente influenzata sia dai Greci sia dagli Etruschi, due popolazioni estremamente più evolute a livello stilistico e in breve tempo assorbite dalla nascente cultura romana.
La pelle aveva già nel periodo regio una fiorente lavorazione tanto da richiedere la presenza di una corporazione, quella dei Coriarii, preludio di quelle che andranno poi formandosi di nuovo nel medioevo. I Coriarii erano specializzati nella concia delle pelli con varie sostanze, come l’allume, varie materie grasse e sostanze vegetali.
Le prime calzature dei romani furono le solae, primitivi calzari costituiti da suole di cuoio allacciate alla gamba da corregge e che in seguito divennero calzature da casa come i socci, delle pedule di feltro.
Successivamente il gusto si fece più ricercato, e per uscire i romani usarono i Calcei, suole senza tacco, con uno spessore di circa 5cm, con tomaie di pelle morbida che ricoprivano tutto il piede. Dai lati di ogni suola partivano delle larghe strisce che si incrociavano e venivano annodate sul dorso del piede mentre altre, più sottili andavano sul tallone e si avvolgevano alla caviglia dove venivano annodate con le estremità pendule decorate da monili in avorio a forma di mezzaluna.
Le donne spesso portavano una specie di ciabatta infradito, tipo la krepis greca, o in alternativa dei sandali, le crepidulae, adottati soprattutto dalle classi agiate e formati da una serie di strisce di cuoio che coprivano interamente il piede fino alla caviglia e che a seconda della ricchezza e dell’elevazione del rango potevano essere più o meno decorate, fino addirittura ad avere le suole in oro o argento. Portavano anche calzari simili a scarpe basse, ma senza tacco. Un altro tipo di sandali erano le urinae, in pelle bovina schiarita.
Contadine e popolane portavano zoccoli o i perones, scarpe dalla suola senza tacco, con tomaia in pelle alta alla caviglia allacciata al dorso del piede con fibbie e stringhe e che potevano essere portate a piede nudo o con una specie di calzino di feltro.
Schiave e proletarie portavano zoccoli di legno, le sculpoeae, mentre i campagnoli potevano avere anche gli adone, suole rettangolari con lunghe cinghie di cuoio che le assicuravano ai polpacci protetti da pezze di lana o di feltro.
All’epoca del tardo impero le matrone adottarono dei sandali dorati o degli stivaletti al polpaccio, in cuoio allacciato.
Le scarpe romane potevano essere lucidate con cera d’api e colorate con zafferano per il giallo, sali ferrosi o tannini per il nero, guado (isatis tinctoria) per l’azzurro e porpora o oricello (rocella tinctoria) per il rosso (tipico delle calzature più lussuose).
Le tomaie erano cucite con lino e unite alle suole con strisce di cuoio, tendini o budello ritorto.